Sei stato gentile quest’anno a portarmi in regalo un nuovo cacciabombardiere, ma ne ho già altri diciassette. Sono quelli degli scorsi anni, ricordi?
Il primo anno me ne hai fatto avere uno da un gruppo di persiani, gli abiti lunghi da nomadi, fucili in spalla e barba nera. A loro hai dato da uccidere qualche donna impudica da offrirmi in sacrificio.
Il secondo anno mi chiedesti di andare sino in Congo a ritirare il tuo dono. Lo ebbi, era bello, mi piacque, lo presi, ventimila morti.
Il terzo anno, nell’Illiria dei greci appresi che avevi deposto proprio lì una sorpresa che era in preparazione già da tempo. Come descrivere fedelmente quei fuochi artificiali, quelle case di zucchero che si sgretolavano alla sola vista dei miei nuovi burattini antiproiettile.
In seguito, dopo che l’ultima sorpresa ebbe esaurito la mia meraviglia, mi desti fra le mani ancora una volta un’arma magnifica ed io la provai subito. Come bersaglio scelsi una moschea del Pakistan lontano.
Al mio quarto compleanno l’antica Fenicia fu la sede da te scelta per la mia festa grandiosa. Ne fui felice. Ancora ti ringrazio.
Che dire del quinto mio anno di vita! Straordinario. Quanto tempo impiegasti per costruire quelle torri: che spettacolo vederle crollare! Ero un bambino maturo e capii il messaggio: prima di morire è meglio puntare in alto.
Sesto anno: avevo bisbigliato all’orecchio della Grande Madre Russia, che subito mi porse su un piatto variopinto qualche centinaio di uomini e donne recatisi a teatro per vedere la tragedia del loro rapimento. Li hai liberati quasi tutti, quando io avrei voluto giocare ancora un po’, per vendetta ne uccisi 129.
Nel settimo anno mi sono bastate le due autobombe di Bombay (trovavo divertente la musicalità dell’espressione), ma tu ugualmente mi hai dato di più.
L’ottavo anno ho visto tornare in vita una guerra morta. Non tutto ciò che termina è destinato a restare sepolto in eterno.
Nove anni fa il deserto fu reso più arido dalla tua mano generosa: il Chad era stato colpito, io ne fui positivamente impressionato.
Al decimo anno, per tua cortese concessione, si diede inizio nella nera Somalia ad un lungo banchetto. Per ricordare la mia nascita furono serviti diecimila pezzi gustosi di carne africana.
Undici anni, dodici dal mio concepimento, ed in regalo un kamikaze e la sua bomba. Non sono stati di mio gusto i troppi morti. Non ho mai amato gli attacchi suicidi di grossa portata.
Al dodicesimo compleanno (ero un ragazzo ormai) dovetti prendere un aereo per l’Ossezia (inizialmente non credevo esistesse un posto con un nome così ambiguo: Ossezia come le ossa incenerite dei condomini bombardati).
Nell’ultimo anno prima della fine del decennio ricevetti altri attacchi kamikaze. Ero annoiato, mi arrabbiai.
Pensavo che il nuovo decennio portasse qualche novità, e invece vidi sempre lo stesso atroce spettacolo. Ormai non mi dava più soddisfazione. Qualcosa iniziava a cambiare, ma tu non te resi conto.
In seguito diventai un ragazzo piuttosto comprensivo. Riuscivo a seguire bene i notiziari: non volevo più te come amico, ma tu mi hai dato lo stesso un’altra guerra e nuovi morti. Non vedevi forse nel mio viso gli occhi assonnati e pieni di lacrime?
Il duemiladodici fu l’anno dell’apocalisse: ogni conflitto da te ordito per divertirmi iniziò a degenerare. Ti urlai contro, avrei dovuto ucciderti.
Fino ad oggi ho sopportato anche quell’ultimo atto che tu credevi di benevolenza. Quante volte ho sentito la patria dei potenti faraoni seguita dalla parola “massacro”?
Oggi le spiagge della Terra Santa sono calpestate dai nastri dentati dei carri armati. Ora so che non erano gesti di generosità, i tuoi: ti fermeresti se ti dicessi ancora di smettere? Non lo fai, non lo vuoi.
Ora è il tempo di onorare le tue feste.
Ora è il tempo dei miei bombardamenti.
Dei miei bombardamenti
29 martedì Lug 2014
Posted Dell'amore e dell'odio
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